LIQUIDITA’ SUL CONTO CORRENTE

Nell’articolo di venerdi 03/05/2019 del Sole 24 Ore, si sottolinea come gli italiani detengano una quota significativa, oltre il 30% dei loro risparmi, sui conti correnti.

Questa cifra ha superato a Maggio l’importo incredibile di 1.500 miliardi. Dopo un minimo nel 2005 c’è stato un incremento fino a raggiungere nel corso del 2018 quasi 1.400 miliardi come si evince dal grafico, mentre la ricchezza delle famiglie si aggirava sui 4.287 miliardi di euro.

Questo atteggiamento, nel lungo termine comporta un impoverimento progressivo del nostro patrimonio. Vediamo perché.

Storicamente i soldi detenuti sui conti correnti si svalutano annualmente di una percentuale all’incirca pari all’inflazione. Quindi se deteniamo il 30% in liquidità in maniera continuativa, perdiamo potere d’acquisto su un terzo del nostro patrimonio con la ovvia conseguenza di renderci sistematicamente più poveri negli anni!

Ad esempio, detenere 1.500 miliardi di euro in liquidità, vuol dire tra 20 anni, con una inflazione media al 2% dimezzare il valore del proprio patrimonio, cioè dimezzare il valore dei beni e servizi che posso comprare.

Per mantenere complessivamente il mio potere di acquisto, dovrei investire gli altri due terzi del patrimonio in strumenti molto remunerativi, per quella quota e per quella che detengo sui conti…………………………. ma vista la tipica avversione al rischio del risparmiatore italiano, questo purtroppo non avviene, anzi la gran parte degli investimenti sono in strumenti di debito che a malapena remunerano l‘inflazione.

Il risultato è quello di dover risparmiare di più per poter rispondere ai bisogni di lungo periodo e quindi fare grandi sacrifici, mentre se fossimo più attenti nel destinare il risparmio ai giusti obiettivi potremmo fare meno fatica e goderci di più la vita.

Nel grafico preso dell’articolo dell Corriere del 19/02/2019, vediamo la differenza reale che si ottiene tra investire il denaro in debito (obbligazioni), in capitale (azioni) o lasciarlo in liquidità (rendimenti reali medi dal 1900 al 2017).

Va da sé quindi che il conto corrente deve rappresentare una parte marginale del nostro patrimonio, funzionale alle spese di breve termine (dai 3 ai 6 stipendi mediamente) se vogliamo diventare nel tempo finanziariamente indipendenti e vogliamo rispondere alle sfide di profondo cambiamento della nostra società.

Da questo grafico, ad esempio, si evince la dinamica dei nati e dei morti nel nostro paese e di conseguenza come invecchierà la popolazione italiana. Le indicazioni sono a dir poco…non incoraggianti. Quali saranno le conseguenze di questo invecchiamento? Cosa posso o devo fare finanziariamente per fronteggiare questi cambiamenti e tutelarmi?

Quali saranno le conseguenza sul sistema previdenziale, sanitario, e sul settore immobiliare….?

Cosa posso fare in veste di investitore per riuscire a fronteggiare queste sfide garantendomi un patrimonio reale significativo?

Queste sono le domande da porsi ed alle quali dare risposta attraverso un piano metodologico che affronti tutte le sfaccettature economiche, finanziarie, sociali e demografiche.

Altrimenti continueremo nell’errore di investire a breve termine il tempo medio di detenzione degli investimenti degli italiani, forse anche per la scarsa cultura finanziaria, è estremamente basso, circa 4,9 anni (come vediamo in figura, fonte Invesco 2019).

Questo limita molto la capacità di far crescere il proprio patrimonio al fine di fronteggiare i profondi cambiamenti strutturali del nostro paese e della demografia dei paesi sviluppati. All’estero e non solo nei paesi a nord, il tempo medio di detenzione degli investimenti è minimo il 50% più elevato di quello degli italiani.

Contattami per capire come fare le scelte giuste.